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22/08/2003 | LETTERA DI DAVID BORDEN AL GIUDICE KING |
Egregio giudice King, Le scrivo da un angolo del mondo della legge diverso da quello che Lei dirige nel District of Columbia: la comunità di coloro che si battono per cambiare le leggi e le politiche. Durante gli ultimi dieci anni ho lavorato come fondatore e come Direttore esecutivo della "StopTheDrugWar.org: Drug Reform Coordination Network (DRCNet)", un'organizzazione che chiede la fine della proibizione e della cosiddetta "guerra alle droghe". E' con tristezza per il nostro Paese, ma con speranza per il suo futuro, che Le scrivo per informarLa che la mia coscienza mi impedisce di prendere parte ai lavori della Giuria alla quale mi è stato richiesto di partecipare dal suo Tribunale. La politica sulla droga degli Stati Uniti si trova in uno stato di crisi morale ed umanitaria, che ci disonora di fronte alla storia: mezzo milione di condannati per reati non violenti realtivi alla droga intasano le nostre prigioni. Pene minime obbligatorie e linee guida inflessibili condannano numerosi trasgressori per reati minimi ad anni o decenni di galera, basandosi spesso semplicemente sulla parola di informatori e confidenti retribuiti. La selettività dell'azione giudiziaria e di polizia in base alla razza ed altre differenze razziali o economiche distruggono la dignità e l'integrità dei poveri e delle minoranze negando loro un'equa giustizia. Complessivamente la criminalizzazione è divenuta una reazione automatica e inadeguata ai problemi sociali, cioè il contrario di quello che dovrebbe essere il suo ruolo più limitato, di vera e propria ultima spiaggia dopo il fallimento di altri metodi. Il risultato è che negli Stati Uniti più di due milioni di persone sono detenute, ed abbiamo il più alto tasso di carcerazione del mondo. Le conseguenze esterne delle leggi sulla droga sono un peso devastante in ampi strati della nostra società e in altri paesi: la proibizione crea un mercato nero che risucchia le nostre città nella violenza e nel disordine e richiama la gioventù verso il crimine. Le leggi che criminalizzano il possesso di siringhe e la clandestinità dell'ambiente di vendita ed uso, incoraggiano lo scambio di siringhe usate aumentando così il diffondersi dell'HIV e dell'epatite C. La nostra guerra alla droga nelle Ande nutre l'ininterrotta guerra civile in Colombia, con profitti illeciti derivati dal proibizionismo sulla droga che ne producono un suo sviluppo. Migliaia di americani muoiono ogni anno per overdose o per avvelenamento da sostanze adulteranti e molte di queste vite si potrebbero salvare attraverso un mercato che controlli la qualità delle sostanze se queste fossero legali. La comprensibile paura dei medici di leggi complicate porta moltissimi americani ad essere curati male o a non essere curati per dolori cronici. Inoltre la frustrazione dovuta al fallimento della guerra alla droga, unita alla mancanza di un dibattito sulla proibizione, altera il processo politico, portando a interventi del Governo sempre più intrusivi e a una perdita dei valori centrali americani di libertà, privacy e onestà. SVILUPPARE LA CONSAPEVOLEZZA CIRCA LE CONSEGUENZE DELLA PROIBIZIONE Le politiche in materia di droghe hanno causato una profonda corrosione dell'etica e dei princìpi che sono alla base del nostro sistema giudiziario: gli agenti di polizia violano quotidianamente i diritti costituzionali per compiere retate antidroga, spesso giurando il falso per assicurare le condanne; possono anche ricorrere alla manipolazione e ad altri trucchi per indurre le persone a rinunciare ai propri diritti, grazie a una complessa rete di norme che li mette in condizione di forzare la lettera della legge tradendone lo spirito. La manipolazione delle prove e del processo è una pratica normale. Molti Pubblici ministeri, non tutti per fortuna, considerano la propria posizione come trampolino di lancio verso una posizione migliore, sacrificando il giuramento di perseguire la giustizia al calcolo politico basato invece sull'avanzamento di carriera. Corruzione e abusi tra chi deve far rispettare la legge sono comuni. E tutti questi problemi, non sanzionati formalmente, sono in pratica largamente tollerati: l'accusa di abuso di potere nella polizia è l'eccezione, e la radiazione dall'albo degli avvocati per cattiva condotta è fatto praticamente sconosciuto. Intanto, accuse false o fabbricate accadono con frequenza inimmaginabile, costringendo molte persone a passare anni in prigione nel tentativo di provare la propria innocenza. I membri della Giuria negli Stati Uniti dunque non possono affidarsi con fiducia alle informazioni loro fornite per poter giudicare un caso. Non possiamo sapere se ci sia stata detta tutta la verità - come nei processi a Ed Rosenthal e Bryan Epis, condannati da giurati californiani che ignoravano che gli imputati fossero dei fornitori di marjiuana terapeutica. Non possiamo fidarci del fatto che le testimonianze siano autentiche ed equilibrate; per esempio, Andrew Chambers, un "super informatore" usato dalla US Drug Enforcement Administration (DEA) per svariati casi, si è reso colpevole di ripetuti spergiuri. Non ci è concesso di conoscere le possibili conseguenze che un accusato potrebbe trovarsi ad affrontare se votiamo per la colpevolezza - e in una società che distribuisce detenzioni lunghe decenni ogni giorno, e che non assicura un'adeguata assistenza medica ai nostri detenuti, noi non possiamo aver fiducia nel fatto che il giudice sia in grado, anche se lo volesse, di pronunciare una sentenza giusta. Abbiamo il compito di emettere verdetti basati esclusivamente sui fatti, senza badare ad altri più generali principi morali, in una situazione dove coloro che osano informare i potenziali giurati del loro potere di distanziarsi da una decisione automatica si vedono a loro volta soggetti a una crescente criminalizzazione. Inoltre noi, servendo come membri della giuria, sovvenzioniamo le ingiustizie dando il nostro tempo in cambio di un mero rimborso delle spese di viaggio, e per meno di un salario minimo. Noi, nel District of Columbia, abbiamo tentato molte volte di realizzare dei cambiamenti anche modesti nella nostra politica sulla droga, solo per poi vederceli respinti o silenziati. L'iniziativa di un elettore per autorizzare l'uso medico della marjiuana, Proposta 63, è stata respinta dal Congresso; un'altra iniziativa per trasferire un certo numero di trasgressori dalla galera ai centri di trattamento, la Proposta 62, approvata dalla stragrande maggioranza dell'elettorato del District of Columbia, è stata bloccata da una Corte con una procedura avviata dal nostro Sindaco. Nonostante vi sia un significativo sostegno alla riforma tra gli abitanti del Distretto di Columbia, la nostra politica sulla giustizia è simile al programma di arresto e carcerazione che si mantengono in ognuno dei nostri Stati. Il nostro sistema giudiziario è influenzato pesantemente da un Congresso che ci tassa ma che non ci rappresenta, e da una burocrazia federale finanziata dal Congresso stesso e alla quale questo ha assegnato una consistente autorità sui casi di giustizia locali. Con nessuno dei punti citati intendo condannare o mancare di rispetto alla Sua posizione o alla Sua professione - e nessuna intenzione simile è rivolta contro il figlio di Rufus King II, un grande combattente per la giustizia e membro della mia organizzazione. Ho a cuore il suo ruolo e gli sforzi della maggioranza degli individui impiegati nel campo della giustizia che si battono con integrità per servire il bene pubblico. Ma i giudici e i giurati sono nella morsa di forze politiche e sociali sempre più ampie; gli obblighi morali del privato cittadino di fronte ai compiti formali di chi viene scelto per servire lo Stato non sempre coincidono. Non mi tiro indietro a cuor leggero dal servizio di giurato che, in una società giusta, considererei un privilegio ed un onore. Però, mentre gli ultimi dieci anni hanno visto alcuni sviluppi incoraggianti nella riforma della politica sulle droghe, il nucleo proibizionista e punitivo del programma anti-droga del governo rimane inalterato, così come non è cambiata l'estremizzazione della sua applicazione e il tasso di corruzione dell'intera amministrazione della giustizia. Infine non ignoro il bisogno e la validità di leggi legittime che proteggono la sicurezza e la proprietà, anche in periodi di ingiustizia nella loro amministrazione; il Distretto di Columbia ha un giustificabile bisogno di giurati da impiegare in casi simili, e io non chiedo che questo processo venga sospeso. Ma la mancanza di affidabilità complessiva del sistema, in buona parte risultato della guerra alla droga, genera potenziali giurati con un dilemma morale la cui soluzione è fuori dal loro potere: servire come giurati, almeno in casi che includono leggi giuste, ma rischiando di dare la possibilità al sistema di commettere un'ingiustizia che essi non possono identificare tempestivamente (una concreta possibilità per qualsiasi membro di giuria allo stato attuale delle cose), e in ogni caso facilitando l'ingiustizia indirettamente contribuendo all'aumento giurati disponibile; oppure, in alternativa, contribuire a un male opposto, rifiutando di prestare il servizio anche in casi che includono leggi giuste (essendo l'inaffidabilità complessiva del sistema una valida giustificazione per un rifiuto di questo tipo), continuando però a ricevere i benefici e la protezione che queste leggi assicurano. Potrebbe essere la cosa meno sbagliata, e la migliore, rifiutarsi di servire un sistema interamente corrotto, nella speranza, attraverso tale scelta, di provocare una discussione necessaria e di far crescere la volontà pubblica e politica a favore di una riforma. Come spiegava il grande filosofo e abolizionista americano, Henry David Thoreau, nel suo famoso testo Civil Disobedience: "Non è compito di un uomo, solitamente, dedicarsi allo sradicamento...financo del più grande male... ma è suo compito, almeno, non sporcarsi le mani con esso e, se decide di non prestarvi attenzione, cessare di sostenerlo praticamente." Il mio servizio come membro di giuria nel D.C. sosterrebbe direttamente o indirettamente l'ingiustizia, e aiuterebbe ad alimentare l'illusione che la proibizione delle droghe serva alla salute e alla sicurezza della società; quando in realtà solo una qualche forma di legalizzazione potrebbe adeguatamente combattere i danni della combinazione droghe-proibizionismo, che nell'attuale dibattito pubblico unidirezionale sono comunemente attribuiti solo alle droghe in sè. Solo qualche forma di legalizzazione può soddisfare il fondamentale dovere della società di rispettare le libertà individuali nel momento in cui richiede responsabilità individuali. In ultimo, dovessi anche accettare di essere tra i candidati a servire come giurato presso il Suo Tribunale, è tutto fuorchè certo che la mia professione, che mi è stata chiesta nel modulo di registrazione, non mi porterebbe ad essere scartato, come già accaduto in passato. Quelli di noi che attribuiscono una maggior importanza alla coscienza e alla giustizia individuale, anziché ai decreti legislativi, e che lo fanno apertamente, sono per questo motivo sollevati dall'incarico di membro di giuria. Essere un potenziale giurato per me equivarrebbe a partecipare ad un gioco, in cui svaluterei sia il sistema che Lei amministra, sia i princìpi a cui faccio riferimento. Per tutte queste ragioni, ho concluso che le ingiuste leggi sulla droga, e la corrosione derivata dalla guerra alla droga sul sistema giudiziario intero, mi obbligano a rifiutare consapevolmente di prestare servizio in una giuria. Prendo questa decisione sapendo ed accettando le possibili conseguenze, e non chiedo alcun trattamento particolare. Con rispetto, David Borden, Direttore Esecutivo di DRCNet e cittadino del Distretto di Columbia |
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