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12/09/2003 | Il libro "Cecenia: nella morsa dell’Impero". Presentazione di Olivier Dupuis

Cecenia. Nella morsa dell'Impero - Comitato Cecenia, presentazione di Olivier Dupuis - Guerini e Associati (http://www.guerini.it), 2003 - pp. 174 - € 12.50 - ISBN 88-8335-439-7
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È possibile che da quindici anni a questa parte, cioè dalla caduta del Muro di Berlino, la storia si ripeta sempre uguale? Tornano alla mente la Croazia, la Bosnia, il Kosovo. Ogni volta l'Europa ha atteso. Ha tergiversato. Per decidere infine di intervenire, ma solo dopo migliaia o decine di migliaia di morti. Torna alla mente anche il Ruanda, dove l'Europa dapprima decide di intervenire, per poi non farlo. Bilancio: 800.000 morti.
C'è anche, in quegli anni bui, l’invasione russa della Cecenia, piccola repubblica caucasica dichiaratasi indipendente nel 1992. La prima guerra di Cecenia causa circa centomila morti, il 10% della popolazione, prima che, avvicinandosi le elezioni, il presidente russo Eltsin decida - sotto la pressione dell'opinione pubblica del suo stesso paese e dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che prende parte ai negoziati - di affidare al generale Lebed l'incarico di concludere un accordo di pace con la resistenza cecena.
Per tre anni, dal 1996 al 1999, quei Ceceni che, al prezzo di una resistenza tanto eroica quanto costosa in termini di vite umane e di distruzioni materiali, hanno strappato una vittoria che concede loro un'indipendenza di fatto, tentano di ricostruire il loro paese annientato. Ma la Cecenia è di nuovo immersa nell'oblio. Non giunge nessun aiuto: né gli aiuti russi, pur previsti dagli accordi di pace, né quelli, tanto sperati, della comunità internazionale.
Nonostante la vittoria di Aslan Maskhadov, rappresentante delle aspirazioni moderate e laiche del popolo ceceno, alle elezioni del 1997, convalidate dall’OSCE, alcuni estremisti islamici vicini all’ambiguo leader militare Shamil Bassaev, aiutati sottobanco da circoli fondamentalisti mediorientali, nonché da importanti frange dei servizi di sicurezza russi e del Cremlino, finiscono per rendere la situazione incontrollabile.
Quest'operazione condotta con il "pugno di ferro", che sarebbe dovuta durare solo qualche giorno, poche settimane al massimo, prosegue ormai da quasi quattro anni. Quattro anni, e di nuovo quasi centomila morti, un’ennesima decimazione. Grozny, rasa al suolo, conosce ancora una volta “la pace e l'ordine" russi, nel silenzio complice della comunità internazionale.

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Sul piano strettamente strategico, le forze armate russe hanno tratto alcuni insegnamenti dalla prima guerra. Esse hanno largamente integrato, nella strategia della seconda invasione, due elementi che risultano fondamentali per comprendere la situazione attuale: la gestione dell'informazione e quella dei territori "pacificati".
Primo insegnamento: niente televisioni occidentali uguale niente guerra. Le autorità russe si sono dunque impegnate, fin dai primi giorni della nuova occupazione, a emanare un insieme di regolamenti che restringono l’accesso dei giornalisti alla Repubblica cecena. Nessun divieto esplicito, ma piuttosto un cocktail che comprende misure restrittive, ostacoli burocratici e la creazione di un clima di totale insicurezza, attraverso ripetuti rapimenti e uccisioni di occidentali. Parallelamente, il Cremlino si è sforzato di “mettere in riga” le rare televisioni russe che ancora non erano ai suoi comandi: le stesse che avevano seguito la prima guerra, permettendo così ai cittadini russi di sapere. Con l'eccezione di qualche giornalista della carta stampata, delle voci di Paolo Mieli, Adriano Sofri e Barbara Spinelli, di rarissimi "videogiornalisti" indipendenti e dei rappresentanti delle poche ONG russe o occidentali presenti che non sono stati uccisi, come il giornalista di Radio Radicale Antonio Russo, o che non hanno ceduto ai ricatti e alle minacce, manifestando un insieme di coraggio, astuzia e determinazione, nessun occhio straniero può più cogliere oggi la misura della tragedia quotidiana del popolo ceceno.
A quattro anni dall’inizio della seconda guerra, un fatto è confermato: il Cremlino ha vinto a tutti gli effetti la guerra dell'informazione. Una vittoria molto comoda per i fautori occidentali della "stabilità a ogni costo con Mosca", a cui questo black-out generalizzato dell'informazione permette di fare propria, senza il rischio di essere contraddetti, la tesi cara al presidente Putin, secondo cui la Russia in Cecenia non sta facendo null'altro che condurre una battaglia – quanto legittima! - contro il terrorismo fondamentalista.

Secondo insegnamento: inutile opporsi militarmente a una resistenza cecena mobile, esperta conoscitrice del territorio ed estremamente determinata. La "pacificazione", che sarebbe troppo costoso ottenere con il confronto militare, deve quindi essere conseguita con il terrore. I vantaggi della nuova strategia sono molteplici: le perdite di uomini da parte russa si sono notevolmente ridotte; i benefici politici e finanziari derivanti dagli arresti di civili ceceni e dal riscatto dei sopravvissuti e perfino dei morti aumentano; i profitti prodotti dal racket, dalla gestione illegale delle risorse petrolifere e da traffici di ogni tipo possono essere moltiplicati nella stessa misura. Inoltre, questa politica, messa in atto con l'appoggio di frange cecene minoritarie, contribuisce a far implodere la società cecena nel suo insieme, minacciando di delegittimare le autorità elette nel 1997 e creando le premesse di una vera e propria guerra civile intracecena.

Tutti questi "retroscena" russi e occidentali, ormai divenuti difficili se non impossibili da comprendere per il cittadino russo, europeo o americano, sono puntualmente analizzati in questo piccolo libro, che svela e consente di collocare nella giusta prospettiva il cinismo e la crudeltà della politica russa, l'ipocrisia e la viltà delle cancellerie e dei grandi media televisivi occidentali, certe debolezze e alcuni errori delle legittime autorità cecene e, infine e soprattutto, l'incredibile sofferenza e l'altrettanto incredibile capacità di resistenza umana del popolo ceceno.

Che fare?
A partire da quanto questo libro ci ricorda e ci insegna, una domanda dovrebbe imporsi a ciascun lettore. Che cosa dobbiamo, che cosa possiamo fare per fermare quello che ogni giorno di più viene configurandosi come un autentico nuovo genocidio ai confini dell'Europa, all’interno dell’Europa? Fin dai più decisi tentativi dell'impero russo di imporre un controllo sul Caucaso, oltre duecento anni fa, il popolo ceceno ha conosciuto, a più riprese, veri e propri stermini. L'ultimo in ordine di tempo, prima di quello che sta compiendosi sotto i nostri occhi, risale al 23 febbraio 1944, quando Stalin fece deportare nello spazio di una notte tutta la popolazione cecena nelle Repubbliche dell'Asia centrale. Bilancio: 200.000 morti (il 30% della popolazione dell'epoca), nei vagoni piombati prima, a seguito della deportazione poi. Nel corso degli ultimi dieci anni 200.000 Ceceni (il 20% della popolazione) sono morti; 300.000 Ceceni (il 30% della popolazione) hanno dovuto abbandonare le loro case e rifugiarsi da qualche parte in Cecenia o nei campi profughi in Inguscezia o altrove; decine di migliaia sono sopravvissuti ai tristemente celebri "campi di filtraggio", dopo essere stati mutilati, traumatizzati e seviziati.

A conclusione del libro, gli autori propongono diverse azioni di solidarietà.
Sul piano politico, peraltro, le proposte percorribili sono poco numerose e poco diffuse. Pur in un contesto tanto buio, illuminato solamente dalla resistenza silenziosa e stoica di decine di migliaia di civili ceceni e dalla dedizione di alcune centinaia di persone in Occidente, una luce di speranza si è comunque accesa. A Washington, nel marzo di quest'anno, il ministro ceceno degli Affari Esteri, Ilyas Akhmadov, ha presentato un piano di pace che propone l'instaurazione di un'amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite sulla Cecenia. In altri termini, un "piano Kosovo +". “Piano Kosovo”, perché prevede tanto il disarmo di tutte le forze cecene, quanto il ritiro dell'insieme delle forze militari e civili russe, e la loro sostituzione con un'amministrazione dell'ONU. " Kosovo +", perché, contrariamente a quanto stabilito per il Kosovo, il piano Akhmadov prevede che, al termine del mandato delle Nazioni Unite, il popolo ceceno sia chiamato a pronunciarsi sul futuro statuto della Cecenia e a eleggere coloro che dovranno governarla.
Un piano che soddisfa contemporaneamente gli interessi di sicurezza della Federazione Russa e le legittime aspirazioni del popolo ceceno, e che attribuisce alla comunità internazionale, e in primo luogo alle Nazioni Unite, la posizione e il ruolo che essa avrebbe dovuto assumere già da molto tempo.
Come potrebbe pretendere la comunità internazionale che un popolo, che ha dovuto ripetutamente fare i conti, nella sua storia passata e presente, con la politica di sterminio del Cremlino, non si pronunci liberamente sul proprio futuro, per decidere se continuare a far parte della Federazione Russa, nel quadro di un'autonomia rafforzata, o separarsi dalla Russia, se ritenesse questa la sola soluzione in grado di offrire reali e durevoli garanzie di sicurezza?

Ma la novità del piano Akhmadov è altrove. Essa risiede nell'obiettivo che indica: l'instaurazione della democrazia e dello Stato di diritto come strumento per soddisfare gli interessi della Russia, le esigenze della comunità internazionale e le aspirazioni dei Ceceni. La democrazia e lo Stato di diritto in Cecenia sono l'antidoto più efficace a possibili derive fondamentaliste, estremiste o mafiose, e ai rischi di instabilità. La novità risiede inoltre nel metodo proposto per raggiungere tale obiettivo: la costituzione di un'amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite: dare "tempo al tempo" per fare in modo che la democrazia metta radici in Cecenia, perché le ferite ceceno-russe, ma anche certe ferite ceceno-cecene possano cicatrizzarsi, per evitare che alla guerra faccia seguito la guerra civile. Ciò che ci propone Ilyas Akhmadov è una trascrizione, in termini operativi, del solo scenario che possa permettere di porre fine alla guerra, di arginare l’influenza delle fazioni islamiste e di frenare la deriva militaristico-mafiosa del potere russo, contrapponendo al pretesto ipocrita quanto illusorio di “guerra al terrorismo” una scelta di “pace antiterrore” e di “pace antiterrorista”, per riprendere le parole di André Glucksmann.
Nell'immediato, il piano Akhmadov rappresenta anche la possibilità di ricreare uno spazio di azione politica e nonviolenta per i Ceceni in Cecenia e nella diaspora, la possibilità di allentare la morsa di isolamento che attanaglia il presidente Maskhadov e tutti i Ceceni che rifiutano la falsa alternativa tra Putin e Bassaev.
Infine, per tutti coloro che continuano a sperare in una comunità internazionale organizzata sulla base dei principi della democrazia e dello stato di Diritto, l'instaurazione di un'amministrazione provvisoria dell’ONU permetterebbe di ridare a quest’ultima il ruolo che dovrebbe esserle proprio ogni qualvolta, in qualche parte del mondo, i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra e il genocidio divengono "regola di convivenza" contro i diritti, la democrazia e la libertà.

Questo è un libro prezioso. Un libro indispensabile per tutti coloro che vogliono conoscere, capire e non rassegnarsi al requiem per un intero popolo che stanno eseguendo alcuni potenti del mondo, in un singolare balletto di interessi tanto diversi quanto convergenti: lotta antiterrorismo, stabilità a ogni costo, petrolio, gas, interessi finanziari, investimenti, riciclaggio di denaro sporco…
Una tragedia in cui si gioca anche il destino e la stessa sopravvivenza dell’Europa come comunità di pace, di libertà, di democrazia e di diritto.

Olivier Dupuis, deputato europeo radicale.
Bruxelles, 10 luglio 2003

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