(www.radicalparty.org) DOCUMENTS ON: CHECHNYA / DOC.TYPE: EVENTS/DEMONSTRATIONS
send this page | invia questo testo


10/12/2003 | Catastrofe in Cecenia: uscire dal pantano. Relazione ‘keynote’ di Zbigniew Brzezinski. Conferenza tenuta all’American Enterprise Institute

Washington 10 dicembre 2003

(*) Trascrizione non rivista di una registrazione su nastro.


Radek Sikorski: Signori e signore, sono di nuovo Radek Sikorski. È per me un grande piacere ed onore introdurre il nostro relatore principale di oggi. In effetti, chi sono io per presentare a Washington una figura così rinomata in questo ambiente quale Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la Sicurezza Nazionale. L’elenco delle sue pubblicazioni e del suo operato è lunghissimo, e, probabilmente, è più noto a voi che a me. Mi limiterò a dire che Brzezinski ha almeno due motivi per parlarci oggi di questo argomento, oltre ad essere una delle forze motrici dietro la Commissione USA per la pace in Cecenia come membro dell’amministrazione Carter, il dottor Brzezinski ha svolto un ruolo strumentale nello sviluppo del processo di Helsinki, per l’inserimento del concetto dei diritti umani nel discorso internazionale, e oggi ci troviamo qui in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani. Ciò non ha avuto solo un significato morale, ma anche effettivo. Questo, unitamente alle politiche di Reagan degli anni ottanta, ha contribuito al crollo della tirannia sovietica.

In secondo luogo, il dottor Brzezinski non è estraneo alle situazioni impossibili, quali portare la pace dove la pace non sembra possibile, e, ovviamente, è stato una figura chiave nell’attuazione della pace tra Israele ed Egitto.

Dottor Brzezinski, siamo molto onorati di averla qui. Il mio unico rammarico è di non potermi rivolgere a lei come al Presidente della Polonia, per la quale carica volevo che si presentasse, ma la ringrazio per il privilegio di poterla ascoltare oggi. Prego.

[Applauso]

Zbigniew Brzezinski: Grazie Radek. In un certo senso, mi sento più a mio agio a parlare qui come residente a Washington che come occasionale ospite di stato. Quindi grazie per il complimento, ma sono anche felice di essere qui, per così dire, in virtù delle mie credenziali.

Prima di tutto, voglio congratularmi con gli organizzatori di questa conferenza. Mi occupo direttamente della questione da almeno dieci anni, e credo che questa sia l’impresa più entusiasmante del genere alla quale abbia mai assistito a Washington. Ritengo sia merito degli organizzatori di questa conferenza, delle varie istituzioni che hanno partecipato collettivamente alla realizzazione di questo evento, ma, forse,ciò può anche avere un significato più ampio, vale a dire: sta maturando un riconoscimento che questa non è una questione isolata, remota, forse tragica, ma in definitiva irrilevante, che può essere ignorata. E ciò è tanto di guadagnato.

In secondo luogo, a titolo di introduzione, voglio aggiungere che sono rimasto molto colpito dal dibattito di questa mattina che ha coperto numerosi aspetti importanti della questione. Ha toccato molti sviluppi di importanza fondamentale. Ha esplorato il significato potenziale di alcuni misteri che devono essere ancora chiariti interamente, ma che testimoniano la complessità bizantina della questione. In questo senso, il dibattito è stato utile, illuminante e provocatorio.

Ieri, mentre pensavo a quale avrebbe potuto essere il mio contributo a questo dibattito, mi sono chiesto che cosa avrei dovuto mettere a fuoco, cosa potevo veramente aggiungere, considerata la presenza di così tanti esperti, persone che hanno un senso diretto del coinvolgimento, alcune direttamente coinvolte, cosa potevo aggiungere. E, infine, ho deciso che, probabilmente, il massimo che posso fare è condividere con voi alcune riflessioni riguardanti due argomenti:

Il primo è forse piuttosto soggettivo. Perché dovremmo preoccuparci? Perché mi preoccupo? In seconda istanza: e poi?

Perchè mi preoccupo? Perchè mi preoccupo. Seguo la questione ormai da dieci anni. E mi preoccupo perché sono un figlio della seconda metà del ventesimo secolo, e sono consapevole che il ventesimo secolo è stato, di fatto, il secolo più letale della storia dell’umanità. È stato un secolo durante il quale sono morte più persone, per il disegno deliberato di alcuni in nome di una varietà di passioni, che nell’intera storia dell’uomo. Letteralmente, se si fanno i conti, sono state uccise deliberatamente più persone in questo secolo che in tutti i secoli precedenti. È una statistica sconvolgente.

Inoltre, si è trattato di un secolo di crudeltà senza precedenti nei confronti dei più indifesi. E chiunque sia sopravvissuto a questo deve essere sensibile all’imperativo morale che ciò implica.

Quali sono state le vittime principali? Ritengo si possa affermare, con dolorosa accuratezza statistica, che le vittime principali, qualora dovessimo classificarle, sono state gli ebrei, destinati ad essere sterminati, anche se non lo sono stati interamente. In secondo luogo gli zingari, destinati ad essere sterminati, anche se non lo sono stati interamente. E, in terzo luogo i ceceni, in effetti, i ceceni.

Perché, se si considera il fatto che, nel 1944, dopo cento anni di repressione, i ceceni sono stati scelti per essere eliminati come nazione, e quindi sradicati dalla propria terra e deportati nel mezzo di un gelido inverno in un territorio alieno - e nel corso della deportazione quasi la metà morì, uomini, donne e bambini - questo si avvicina moltissimo a quanto accadde agli ebrei e agli zingari, anche in termini di proporzioni statistiche. Perì all’incirca la metà della popolazione.

E dagli anni novanta quanti altri ne sono morti? Abbiamo stime diverse. Ma, complessivamente, si può affermare che sia morta circa un quarto della popolazione, e non a causa di incidenti, o per i terremoti, non per l’inedia indotta dal clima, ma deliberatamente, per mano di terzi.

E come sono morti? Sono morti come gli zingari, come gli ebrei: nel silenzio globale, in solitudine. Alcuni hanno occasionalmente sussurrato “mai più”, senza però mai attribuire a questa frase un grande significato.

Ritengo che questo sia molto significativo in relazione al nostro dibattito, e questo è uno dei motivi per cui penso che siamo tutti d’accordo che dobbiamo essere preoccupati. Questo è il primo motivo.

Ma c’è un secondo motivo per cui mi preoccupo, e riguarda, a mio parere, ciò che la questione ci dice a proposito di quanto sta accadendo in America. E questo, come americano, ha per me un’importanza enorme.

Notate le assenze di oggi. Abbiamo invitato come relatori numerosi alti funzionari russi, ma nessuno di loro è intervenuto, anche se avremo un ospite dall’Ambasciata russa, e ne siamo grati. Abbiamo anche invitato una serie di alti ufficiali USA, i cui nomi non elencherò, ma che non sono venuti, la maggior parte dei quali non ha neanche risposto all’invito. Abbiamo la fortuna di avere con noi un ufficiale, ma non posso dire che il governo degli Stati Uniti sia ampiamente rappresentato in questo contesto.

Mi domando se questo non ci dica qualcosa sulla questione morale in gioco. Se devo rivolgere lo sguardo alla politica americana nei confronti della Cecenia, dall’inizio dei suoi problemi, circa dieci anni fa, ad oggi, direi che, complessivamente, abbiamo assistito a un’evoluzione dall’ignoranza iniziale all’indifferenza egoista. L’ignoranza iniziale è rispecchiata dalla sconvolgente dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti che il conflitto in Cecenia è come la guerra civile americana, una dichiarazione che, con il massimo della benevolenza, può essere definita ignorante. Ma adesso ci troviamo di fronte all’indifferenza egoista, perché sappiamo che il presidente subentrato in seguito conosce meglio la questione. Conosce meglio la questione. Quindi non abbiamo a che fare con l’indifferenza. Non abbiamo a che fare con l’ignoranza. Abbiamo a che fare con l’opportunismo tattico. Dopo l’11 settembre, è preferibile nascondere la questione, anche se la conosciamo meglio.

C’è un’intervista condotta da Jim Lehrer con il nostro più importante portavoce e politico, e, ritengo leader morale. Jim Lehrer gli chiede, “Cosa dovremmo fare con la questione cecena?”, sto citando un’intervista dell’ottobre 2000, cioè un anno elettorale. Lehrer dice, “Dovremmo istituire aiuti del Fondo Monetario Internazionale? C’è altro che dovremmo fare?”, e la risposta è, “Prestiti per le attività di import ed export”.

Lehrer: "E poi tagliarli?”, risposta: “Sì, credo di sì”.

Lehrer: "Fino a quando?”, risposta: “Fino a quando non capiscono che devono risolvere la questione in modo pacifico e smettere di bombardare donne e bambini costringendo moltissimi rifugiati a fuggire dalla Cecenia”.

Lehrer: "E Lei ritiene che ciò funzionerà?”, risposta: “Beh, certamente funzionerà meglio di quanto non è stato tentato dall’amministrazione Clinton”.

Quindi, al massimo livello, non possiamo invocare il pretesto dell’ignoranza. Sappiamo quale posta è in gioco. Sappiamo cosa, probabilmente, si doveva fare. Ma non lo facciamo. E, in effetti, credo non ci siano dubbi che l’intera questione è stata sfruttata sulla scia dell’11 settembre da una leadership russa che ha imparato a usare una frase passepartout, una particolare parola passepartout: “terrorismo”. Dire “terrorismo”, è quasi come innescare una reazione pavloviana. E questa parola è stata strategicamente e ampiamente impiegata in un contesto che temo sia un caso di codardia burocratica.

Una volta ho discusso la questione al massimo livello, non il più alto in assoluto, ma un livello molto alto con un altrettanto alto ufficiale. È emersa la questione del terrorismo e io ho detto: “Sì, il terrorismo è ripugnante e, ovviamente, deve essere denunciato”, “Ma che cosa dire del bombardamento a tappeto e dei cannoneggiamenti di Grozny allo scopo di uccidere migliaia di civili in modo da intimorire l’avversario? Non è terrore quello?”. E dopo una breve pausa esitante mi è stato detto, “No, quello non è terrore. É usare la forza”.

[Risate]

Zbigniew Brzezinski: Una differenza che mi è sfuggita. C’è addirittura un esempio nella burocrazia di ciò che temo sia un caso di codardia burocratica, esemplificato dal contrasto stridente tra il modo in cui i danesi e gli inglesi hanno di recente trattato il caso di Zakayev, il portavoce dei ceceni nell’Europa occidentale, attivamente impegnato per una soluzione pacifica, e il modo in cui il governo degli Stati Uniti ha gestito il caso, molto simile, di Ilyas Akhmadov, il Ministro degli Esteri ceceno, che sta cercando una soluzione pacifica a livello internazionale e qui negli Stati Uniti. Alcuni dei presenti conosceranno la sua proposta, nota come il Piano Akhmadov.

È piuttosto chiaro che il governo russo, e in particolare Putin, vorrebbero imporre il silenzio ad entrambi, perché se tacciono è più facile ridurre il problema in base al principio del dualismo manicheo: buoni contro terroristi. E i ceceni che promuovono la pace e il compromesso sono sconvenienti.

I russi hanno tentato di ottenere l’estradizione di Zakayev dai danesi. I danesi hanno repentinamente respinto la richiesta di estradizione, liquidandola come ridicola. I russi hanno quindi tentato con gli inglesi. Gli inglesi, nel corso di una procedura giudiziaria durata alcuni mesi, hanno fatto lo stesso, smascherando la fraudolenza delle prove addotte dai russi, hanno denunciato i russi per il ricorso alla tortura, anche nelle cosiddette procedure giudiziarie, e poi, unilateralmente, hanno concesso l’asilo a Zakayev.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, quando Akhmadov ha chiesto asilo, invece di prendere posizione, la USG ha rimandato la procedura all’INS, il Servizio per l’Immigrazione e la Naturalizzazione.

La richiesta è rimasta in giacenza per mesi all’INS, letteralmente in giacenza. E poi, finalmente, dopo un’udienza preliminare, è stato dato un parere in favore della concessione di asilo, ribaltato poco dopo a un livello più alto da un’istanza più alta. Non solo ribaltato, ma quando la questione è stata spostata nei tribunali, che nel nostro sistema è fra le alternative, il governo degli Stati Uniti ha ripetutamente provocato il ritardo dell’intera procedura per mesi, dichiarando che non è ancora pronto a sostenere l’esito negativo, anche se la decisione è stata presa.

Nel frattempo, aggiungo, la famiglia di Akhmodov è rimasta bloccata per mesi all’estero, nel Caucaso meridionale, ed è stata conseguentemente negata assistenza medica al suo ultimo nato, portatore di handicap, mentre la famiglia non ha ottenuto il permesso di venire negli Stati Uniti.

Posso aggiungere, tutto questo di fronte ad appelli, redatti e firmati da persone del calibro di Lubbers, che avete ascoltato questa mattina, l’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite; il senatore McCain, Tom Ridge, adesso in carica al Servizio Immigrazione e Naturalizzazione; il senatore Kennedy, io stesso ed altri ancora. La maggior parte degli appelli non hanno avuto risposta.

Ora, ripeto, in questo caso particolare, la responsabilità non è dei russi, come nel caso dei danesi e degli inglesi. È l’USG che lo sta facendo, e che si appoggia a prove fornite dai russi, prove che rimandano in modo evidente ad alcune di quelle presentate ai danesi e agli inglesi.

In tutto questo c’è un insegnamento o un motivo di preoccupazione. Ci possiamo aspettare che persone alle quali è negata la speranza agiscano con moderazione? Non stiamo forse contribuendo noi stessi a spingere i ceceni verso l’estremismo? Non stiamo facendo essenzialmente ciò che Putin vuole che facciamo? E non abbiamo imparato dalla storia del ventesimo secolo che il silenzio è, talvolta, un atto di complicità? Ritengo che queste siano domande che ci dobbiamo porre in un momento in cui veniamo minacciati a livello internazionale, alle quali è necessario rispondere, ma, se vogliamo avere credibilità e autorità morale, dobbiamo difendere il diritto.

[Applauso]

Zbigniew Brzezinski
La questione cecena presenta alcune analogie, e sottolineo “alcune”, perché analogia non significa identità, presenta alcune analogie, alcune, con la questione algerina che, a sua volta, ha ostacolato la modernizzazione, la democratizzazione e l’europeizzazione della Francia. Chiedetevi dove sarebbe la Francia oggi se la questione algerina non fosse stata risolta, se venisse ancora repressa, se i francesi continuassero ad affermare che l’Algeria è la Francia e che gli algerini sono francesi?

C’è voluto un grande uomo per risolvere la questione, per tagliare il nodo gordiano, per rompere con il passato e trarre le conclusioni che hanno consentito alla Francia di diventare quello che è. De Gaulle è stato un grande uomo, in senso figurato e letterale. Putin non lo è. È un piccolo uomo che fa appello agli istinti peggiori.

[Applauso]

Zbigniew Brzezinski: E’ un piccolo uomo che fa appello agli istinti peggiori nel suo paese. In Russia ci sono istinti buoni. Ci sono russi coraggiosi che hanno difeso il diritto in una maniera che, probabilmente, pochi di noi avrebbero il coraggio di emulare, e siamo molto in debito con questi uomini. Essi rappresentano il futuro della Russia, e voi ne conoscete i nomi –

[Applauso]

Zbigniew Brzezinski: -- ed essi meritano il nostro applauso.

Ma in questo momento assistiamo a un processo regressivo nel quale la Russia viene trasformata in un’autocrazia (petral nel testo seguito da un punto interrogativo) in una struttura sociale decadente. È, adesso, in termini di statistiche sulla criminalità, uno dei paesi più violenti del mondo. Ci sono sconcertanti statistiche comparate sulla criminalità in merito. È un paese asserragliato da un mito territoriale che oscura i giudizi obiettivi sulla realtà, un mito territoriale basato sulla nozione che se si controlla un territorio vasto, si è un grande paese.

Si tratta di un mito molto ingannevole perché oscura la consapevolezza di quello che nell’epoca moderna rappresenta la grandezza nazionale, l’influenza nazionale e il potere nazionale.

Di recente è apparso un libro molto interessante di Fiona Hill della Brookings Institution su questa questione, che vorrei portare alla vostra attenzione. Parla delle conseguenze del fatto che nell’era sovietica gran parte della popolazione russa è stata costretta a trasferirsi in città mal situate dal punto di vista economico, in aree controproducenti allo sviluppo sociale dal punto di vista climatico. Ma i concetti di mito territoriale e di integrità territoriale sono profondamente radicati nella psicologia politica russa e impediscono alla Russia di spostarsi verso l’era moderna.

Ritengo che ciò cambierà perché è anche mia opinione che il regime di Putin rappresenti gli ultimi fuochi dell’era sovietica. Gli ultimi fuochi dell’era sovietica.

[Applauso]

Zbigniew Brzezinski: Si tratta di un regime che si basa sugli ultimi diplomati del KGB, gente privilegiata, intelligente, che ha avuto l’opportunità di viaggiare e leggere, abituata alla gestione del potere, con una visione molto nostalgica del potere, del prestigio. Ma quando si conoscono i russi della generazione successiva a questa, i russi che hanno trenta, quarant’anni, ci si confronta con una prospettiva assai diversa.

Confido che nel giro di dieci anni la Russia avrà un leader che, con molta probabilità, si sarà laureato in una facoltà di economia e commercio negli Stati Uniti, un Gabinetto russo formato interamente da laureati presso università occidentali, e un’elite politica russa al pari delle altre.

Ciò mi porta alla mia conclusione. E’ stato detto in precedenza che la Russia non può dividersi dalla Cecenia e che l’indipendenza è, quindi, fuor di discussione. Non so come si possa sostenere questo giudizio per un tempo indeterminato. È un’accurata descrizione di quanto accade oggi. Ma, se la Russia deve diventare un membro a tutti gli effetti della Comunità Europea, se deve entrare a far parte della comunità internazionale, se deve far parte dell’Occidente, se il nostro obbiettivo strategico di accludere la Russia deve essere conseguito, si tratterà di una Russia diversa. Sarà una Russia diversa nella quale la sua stessa grandezza verrà definita in modo diverso, nella quale ci sarà anche una grande consapevolezza del fatto che certi miti hanno fatto il loro tempo.

Una Russia diversa avrà una diversa definizione di che cos’è la Russia e qual’è la sua grandezza, e credo che, in quel contesto, se ci sarà un popolo che non desidera far parte della Russia, sarà più saggio avere un rapporto diverso con quel popolo.

Il nostro obiettivo dovrebbe essere fare in modo che ciò avvenga - fare in modo che ciò avvenga - e questo significa che, prima di tutto, dobbiamo fare in modo che la questione continui a far parte dell’ordine del giorno internazionale. Questa non è una questione da nascondere. Fa parte dell’ordine del giorno strategico a lungo termine che implica il nostro ruolo nel mondo, il nostro senso dei principi che difendiamo, ma è anche una questione importante nei confronti dei nostri rapporti con la Russia e con la conformazione di un nuovo sistema mondiale.

Per mantenere la questione all’ordine del giorno internazionale, è necessario che vengano conseguite due cose in particolare. La prima è continuare a sottolineare la responsabilità internazionale di conservare la struttura e l’esistenza della nazione cecena, perché rischia la possibilità di estinzione per genocidio. Ciò significa potenziare lo sforzo e l’assistenza internazionali. Offrire tale assistenza anche se non viene accettata dal governo russo. Assicurarsi che la comunità internazionale risponda con generosità alla necessità di salvare il popolo ceceno in quanto popolo e di preservare la sua struttura interna di identità, in modo che ciò che Stalin ha iniziato nel 1944 non diventi una realtà.

[Applauso]

Zbigniew Brzezinski: In secondo luogo, dobbiamo continuare a sottolineare il semplice concetto che se la Russia desidera far parte dell’Occidente, non può entrarvi con il suo bagaglio imperialista, con il suo retaggio del passato. Non c’è posto nella comunità occidentale, nella comunità atlantica, nell’Unione Europea per un paese che persegue una politica colonialista sotto forma di genocidio, sia che si tratti di una politica intenzionale o di fatto. Semplicemente non c’è posto nella comunità occidentale per un siffatto paese. Non c’è posto nel concetto di democrazia per una tale realtà. E, a condizione che questo venga mantenuto nella prima linea, non significa che altre questioni e altri rapporti debbano essere sacrificati, ma significa essere sinceri, significa essere onesti, significa essere chiari. E, dopo tutto, si tratta di una qualità essenziale della leadership nel mondo. E se siamo seri in merito al nostro ruolo nel mondo, se siamo seri su cosa vogliamo che la Russia diventi, e se ci preoccupiamo di cosa ci definisce come persone, credo che sappiamo cosa fare.
Grazie.

[Applauso]

Radek Sikorski: Abbiamo circa dieci minuti per le domande. Il dottor Brzezinski ha gentilmente acconsentito a rispondere. Prego.

Mi chiamo Alvina, e sono una studentessa alla Berkeley. Mi chiedevo se lei vede alcuni parallelismi tra la guerra USA - Iraq e quella tra Russia e Cecenia? Qual è il suo commento?

Zbigniew Brzezinski: Bene, ci potrebbero essere alcuni parallelismi, ma come ho detto prima, parallelismi, similitudini e analogie implicano anche alcune differenze significative. Credo che le differenze siano più importanti dei parallelismi. I parallelismi possono essere disturbanti, almeno per quanto riguarda il loro potenziale. Vale a dire che se ci immergiamo in una situazione dalla quale siamo incapaci di tirarci fuori e, allo stesso tempo, lo spirito antiamericano diventa dominante e lo spargimento di sangue più diffuso, allora i parallelismi possono aumentare. Ma certamente le differenze sono più importanti.

Noi non vogliamo invadere l’Iraq e annetterlo agli Stati Uniti. Non abbiamo raso al suolo Bagdad con i bombardamenti. Non abbiamo scacciato la metà o un terzo della popolazione irachena dal paese, e così via. Quindi le differenze sono più importanti.

Frank Corbin (fonetico) dello studio legale DeKiefer e Horgan: Se i rapporti tra la Federazione Russa e la Cecenia dovessero cambiare, quali forme potrebbero assumere e quale processo ritiene necessario per ottenere queste forme?

Zbigniew Brzezinski: Prima di tutto, è importante che i russi riconoscano che, se vogliono risolvere la questione pacificamente, devono occuparsi di tutti quei ceceni che si sono votati all’indipendenza, perché è proprio la loro resistenza a rappresentare un aspetto critico dell’intera questione. Dovremmo sostenere chiaramente che le trattative con Mashkadov sono una precondizione necessaria per risolvere questo processo. I russi vogliono marginalizzare qualsiasi resistenza cecena, dividere i ceceni quanto più possibile per poter dire, successivamente, che non c’è alcuno schieramento parte al processo di pace, non c’è nessuno con cui negoziare, ad eccezione delle persone che abbiamo creato noi stessi, come Adirov (ph). Per questo motivo ritengo che il riconoscimento dell’esistenza di una controparte alla disputa sia un punto di partenza.

Ciò detto, si possono, inoltre, prevedere vari accordi di transizione che vadano incontro alle necessità più impellenti di entrambe le parti, senza soddisfare interamente né l’una né l’altra. Questo richiederebbe concessioni più grandi anche da parte dei ceceni, a condizione di contemplare l’eventualità di un esito che potrebbe implicare o uno stato giuridico speciale o uno stato giuridico associato, o una data connessione con la Federazione Russa.

In breve, ciò che ci serve è una combinazione fra una road map e un accordo virtuale, in lieve parallelo con un altro problema con il quale ci stiamo confrontando altrove, ma di natura molto diversa. Direzione ed esito devono essere chiari, con la consapevolezza, però, che saranno necessarie fasi intermedie, che potrebbero, di fatto, essere prolungate.

Ma non ci siamo ancora arrivati, e non ci arriveremo fino a quando la comunità internazionale, e in particolare gli Stati Uniti, prenderanno una posizione chiara sulla questione in modo che entri a far parte del discorso internazionale; così vi potranno essere degli aggiustamenti nella posizione russa. Probabilmente, al momento attuale, Putin non sente di doversi confrontare né a livello nazionale, né al livello internazionale con la necessità di fare aggiustamenti. Deve essere convinto che questa necessità esiste, e questo può avvenire solo con l’aiuto esterno e anche, a lungo termine, attraverso cambiamenti all’interno della Russia stessa, e, in particolare, della giovane generazione russa, allora comincerà a rendersi conto che alcuni aspetti del passato imperialista non sono compatibili con l’epoca attuale.

Steve Beegan (fonetico) dell’ufficio del presidente della maggioranza al Senato: Dottor Brzezinski, grazie per le sue osservazioni. Penso che abbiano illustrato ottimamente la questione.

La mia domanda è: lei ha suggerito un paio di cose che potrebbero essere fatte dal governo degli Stati Uniti. Una è di introdurre maggiore candore nei rapporti fra Stati Uniti e Russia. Lei legge gli estratti dei dibattuti sull’impiego dell’attività creditizia come leva. Può elencare due o tre cose che, a suo parere, dovrebbe fare il governo degli Stati Uniti in modo da aumentare questa pressione? Lei conosce le varie opinioni sulla partecipazione russa alle istituzioni, e così via. Può elencare in modo specifico alcune cose che potremmo fare?

Zbigniew Brzezinski: Grazie. Prima di tutto, mi lasci dire che lei e il suo senatore avete mostrato un interesse significativo nella questione, e questo, oltre ad essere molto apprezzato, è anche sintomatico del fatto che il problema persiste ancora.

Per quanto riguarda cosa altro potremmo fare, citerò solo un esempio. Ce ne sono molti altri, ma credo che in questa fase ve ne sia uno particolarmente pertinente, e cioè il cosiddetto G7 o G8. Abbiamo trasformato il G8 in un’impresa ridicola, ridicola, perché il G7 si basava sul principio che le democrazie avanzate, ricche, si unissero in virtù di valori condivisi per discutere problemi comuni e per trovare soluzioni comuni a problemi condivisi. Ora abbiamo a che fare con un governo che viola i diritti umani, non solo nei confronti dei ceceni, ma anche, in modo sempre maggiore, nei confronti del suo stesso popolo, limitando la libertà di informazione, manipolando le elezioni e volgendo lo sguardo al passato.
Fa veramente parte del G8? Non costerebbe molto, né a noi né a chiunque altro, cambiare le cose, escludere qualcuno da questo incontro. Non ci prendiamo in giro da soli. A loro piace prendervi parte. Gli piace interpretare questo ruolo. Ecco perché è un riconoscimento. È un riconoscimento che possiamo negare. A noi non costerebbe molto, ma potrebbe essere una grande lezione. Quindi, ecco un altro esempio, e forse il senatore potrebbe fare qualcosa in merito.

Radek Sikorski: Ancora una o due domande.

Nick Daniloff: della Northeastern University. Oggi abbiamo appreso che c’è una frattura nella resistenza cecena, esiste una parte moderata e un’altra parte che diventa sempre più radicale. Sappiamo che ci sono dei conflitti tra il comandante in campo Basayev (fonetico) e il presidente Maskhadov. Se ci dovessero essere trattative su una soluzione pacifica tra Mosca e la Cecenia, con chi dovrebbe negoziare Mosca?

Zbigniew Brzezinski: Chiaramente con i moderati, chiaramente con Maskhadov e prima ciò avviene meglio è, perché più dura il conflitto, più c’è una probabilità che le dinamiche del conflitto spingano nella direzione degli estremisti. È la logica della situazione.

Adesso, forse, la riluttanza a trattare con Maskhadov deriva dal desiderio deliberato di spingere i ceceni verso una posizione sempre più estrema in modo da screditarli e quindi giustificare l’assenza di trattative. Credo si tratti di un sospetto legittimo.

Sig.ra Anna Broadscale, Università di (?). Lei ha citato il mito dell’integrità territoriale usato per sostenere la guerra in Cecenia. Penso che sia un punto di vista eccellente, e probabilmente è condiviso dall’opinione generale. Non crede sia possibile che la guerra in Cecenia abbia un motivo molto razionale, e che questo sia, in ultima analisi, il petrolio ceceno? Sono piuttosto sorpresa che la questione del petrolio non sia stata ancora sollevata in questo convegno. Ma, in definitiva, è il petrolio ceceno che, probabilmente, sta sostenendo l’esercito russo a questo punto, e l’esercito russo ha un motivo reale per restare in Cecenia e sfruttarla per le sue risorse naturali.

La mia domanda è: quale soluzione vede a questo problema?

Zbigniew Brzezinski: Non sono sicuro di essere interamente d’accordo con la sua enfasi sul petrolio ceceno. Ci sono alcuni pozzi petroliferi in Cecenia, e la Cecenia è stata uno snodo importante, ed è, credo, indubbiamente vero che i comandanti militari russi, estraendo parte del petrolio locale, stanno facendo profitti personali.

Ma in un’ottica più ampia, relativamente al volume complessivo della produzione di petrolio in Russia, la produzione in Cecenia è molto, molto trascurabile. Dicendo molto trascurabile, voglio semplicemente dire che non è un fattore principale in termini del potenziale globale dell’economia russa.

http://www.aei.org/events/filter.,eventID.675/transcript.asp

OTHER LANGUAGES
Conference at the American Enterprise Institute. Catastrophe in Chechnya: Escaping the Quagmire. Zbigniew Brzezinski Keynote Remarks
Conférence à l’American Enterprise Institute. Catastrophe en Tchétchénie : Sortir du bourbier. Discours-programme de M. Zbigniew Brzezinski (*)